L'ARBITRO UNICO Costituitosi in data 23 giugno 2020 in virtu' di' convenzione di arbitrato rituale ex art. 806 e ss. codice di procedura civile del 23 giugno 2020, con la quale veniva nominato arbitro unico dai sig.ri sig. Lauretti Andrea, nato a Taranto (TA), il 31 agosto 1983 (C.F.: LRTNDR83M31L049W), residente in Roma, via San Nicola Dell'Alto n. 30, rappresentato e difeso dall'Avv. Antonio Corvasce (C.F.: CRVNTN70E08A669D PEC: avv.antoniocorvasce@legalmail.it - FAX: 06.89184253) e Villani Cristiano, nato a Roma il 23 marzo 1968 (CF.: VLLCST68C23HSO1L), residente in Roma, via Pasquale del Giudice n. 12, rappresentato e difeso dall'AVI,. Alessandro De Luca (C.F.: DLCLSN64D02HSO11 - PEC: avvalessandrodeluca@ordineavvocatiroma.org - FAX: 06.4819484), giusta procura in calce alla convenzione di arbitrato rituale del 23 giugno 2020, ove la clausola compromissoria e' cosi formulata... «Il Tribunale Arbitrale sara' composto da un arbitro unico, che le parti, concordemente, individuano nell'avv. Vincenzo Ciraolo (c.f CRLVCN64D06F158F - P.E.C. vincenzo.ciraolo@pec.giuffre.it), del foro di Messina, con studio in Roma, alla via Attilio Regolo, 19, il quale, ai sensi dell'art. 816-bis codice di procedura civile, nel rispetto del principio del contraddittorio, avra' facolta' di regolare lo svolgimento del giudizio di arbitrato nel modo che riterra' piu' opportuno, comunque, nel rispetto delle norme inderogabili degli articoli 806 e ss. del codice di procedura civile. ... le parti si riservano di dedurre, produrre, depositare documenti, indicare prove nei termini che a tale fine verranno disposti dal suddetto arbitro unico.», per la risoluzione della controversia insorta relativamente al contratto di vendita del 5luglio 2013, con atto pubblico a rogito del notaio dott. Paolo Farinaro di Roma, rep. 244473, racc. 39705. Svolgimento del processo Nella sopra richiamata «convenzione di arbitrato», le parti cosi, testualmente, argomentavano e descrivevano i fatti di causa: «a) in data 5 luglio 2013, con atto pubblico a rogito del notaio dott. Paolo Farinaro rep. 244473, racc. 39705 (All. 1 - copia atto di compravendita), il sig. Villani Cristiano vendeva al sig. Andrea Lauretti, per l'importo di Euro 260.000,00, la proprieta' superficiaria delle seguenti porzioni immobiliari, site nel Comune di Roma, rientrante nel P.d.Z 31» «Osteria del Curato - variante quater» comparto «b», via S. Nicola dell'Alto 30 e precisamente: 1) «appartamento al piano terzo della scala «B», distinto con il numero int. 14 (quattordici), articolato nei piani terzo e quarto tra loro collegati mediante scala interna esclusiva, composto da cinque camere, e cioe': da due camere, cucina e accessori al piano terzo e di locali di sgombero e terrazzo al piano quarto, confinante con appartamenti n. 13 e 15, chiostrina e pianerottolo delle scale: annesso locale ad uso cantina al piano interrato distinto al numero B14 (B quattordici), confinante con cantine B13 e B15 e corridoio delle cantine per due lati; box auto al piano interrato, distinto con il subalterno 55 (cinquantacinque) sito nell'autorimessa comune sottostante il fabbricato con accesso dal civico n. ventisei (26) di via San Nicola dell'Alto, confinante con box auto sub. 56, locale condominiale, box auto sub. 54 e spazio di manovra. Dette porzioni immobiliari risultano censite presso il catasto dei fabbricati del Comune di Roma al foglio 978, particella 1347, subalterni; sub 35 (l'appartamento ai diversi piani e la cantina); sub. 55 (il box auto). Il tutto, originariamente di proprieta' del suddetto sig. Villani Cristiano cui e' pervenuto da «Apriliana Domus - soc. cooperativa edilizia», con atto pubblico del 4 dicembre 2007 a rogito del notaio Giovanni Ungari Trasatti, rep. 41247 racc. n. 21904, registrato presso l'Uffico delle entrate di Roma 5 il 28 dicembre 2007 al n. 26557 serie 1T e trascritto in data 28 dicembre 2007 presso la Conservatoria dei RR.II. di Roma 1 al n. 104006 di formalita', pagando la somma di euro 108.225,03 (All. 2 - copia atto di assegnazione). il sig. Lauretti, sostiene che l'alloggio in questione rientra nella fattispecie di «alloggio sociale di edilizia residenziale pubblica» e precisamente nella fattispecie di «edilizia agevolata-convenzionata», perche' fa parte di un complesso edilizio edificato in regime di edilizia economica e popolare, su terreno prima espropriato e poi concesso dal Comune di Roma alla predetta impresa «Apriliana Domus» in diritto di superficie per 99 anni, giusta convenzione urbanistica, rogata ai sensi dell'art. 35 della legge 865/1971, con atto pubblico a rogito del notaio Giovanni Ungari Trasatti rep. n. 34301/17270 del 21 gennaio 2004, registrata in data 27 gennaio 2004 al n. 492 e trascritto in data 28 gennaio 2004 presso la Conservatoria dei RR.II di Roma 1 al n. 7584 di formalita' (All. 3 - copia convenzione urbanistica). Il sig. Villani, nell'art. 5 del predetto atto di vendita, garantiva al sig. Lauretti, acquirente, che l'immobile in oggetto era libero da pesi, ipoteche, trascrizioni pregiudizievoli e vincoli di ogni altro genere. Il sig. Lauretti, pero', sostiene che gli immobili di che trattasi erano (e sono ancora) gravati dai vincoli al libero trasferimento, imposti dall'art. 35 della legge 865/1971, cosi' come riportati nella predetta convenzione urbanistica a rogito del notaio Giovanni Ungari Trasatti (v. All. 3, art. 14) ed in particolare, a quello attinente al divieto di commercializzare il cespite in oggetto a prezzo libero di mercato e che, quindi, l'alloggio in questione sarebbe gravato dal vincolo del prezzo massimo di cessione derivante dal combinato disposto del dettato dell'art. 35 della legge 865/1971, dell'art. 18 del Decreto del Presidente della Repubblica 380/2001, nonche' dell'art. 14 della predetta convenzione urbanistica ex art. 35 della legge 865/1971 a rogito del notaio Giovanni Ungari Trasatti (v. All 3. pag. 27) e che. quindi, alla data del 5 luglio 2013, il corrispettivo massimo di cessione, determinato ex lege, cosi' come determinato tenendo conto del dettato dell'art. 24 della ridetta convenzione urbanistica, sarebbe dovuto essere pari ad euro 120.887,36 (All. 4 - scheda Istat). Il sig. Lauretti, avendo appreso della pubblicazione della sentenza della S.C. di Cassazione a SS.UU. n. 18135/2015 che confermava il divieto di commercializzazione di detti immobili a prezzo libero di mercato, con lettera raccomandata del 16 ottobre 2017 a firma dell'avv. Antonio Corvasce, rimasta senza esito, contestava, al sig. Villani, la nullita' parziale del contratto di compravendita in parola, per la parte eccedente il prezzo massimo di cessione e, conseguentemente, domandava la ripetizione, in suo favore, di euro 139.112,64, corrispondenti a quanto indebitamente pagato in eccesso rispetto al prezzo calcolato «ex lege» (All. 5 e 5-bis - copia lettera avv. Antonio Corvasce e sentenza della S.C. Cassazione a SS.UU. n. 18135/2015). b) il signor Cristiano Villani contesta le domande del sig. Lauretti e l'applicazione, al caso di specie, delle norme imperative di legge e convenzionali invocate da quest'ultimo; in sintesi, secondo il sig. Villani, la sentenza della S.C. di Cassazione a SS.UU. n. 18135/2015 non attiene al caso di specie, in quanto la vendita dell'alloggio in questione non doveva essere effettuata a valore «convenzionale», ma a prezzo di mercato, cosi come in effetti e' avvenuto e, pertanto, l'atto di vendita contestato dal sig. Lauretti e' pienamente valido ed efficace. Tanto, in virtu', tra l'altro, del disposto della legge 179/1992, che ha stabilito che, per gli alloggi realizzati nei piani di zona ex lege 167/9162 e regolati dalle convenzioni ex art 35 legge 865/1971, le vendite successive alla prima assegnazione, decorsi cinque anni da quest'ultimo atto, possono essere effettuati a prezzo libero di mercato. Contesta, inoltre, il sig. Villani, che il valore dell'immobile sito in Roma - Via S. Nicola dell'Alto n. 30 - int. 14, e' molto piu' alto di quello indicato, riportando, tra l'altro, l'errata indicazione del corrispettivo effettivamente versato alla cooperativa, il mancato calcolo dell'iva, il mancato aggiornamento dell'istat, la realizzazione di ulteriori lavori effettuati all'interno dell'immobile, l'acquisto da parte del sig. Lauretti anche dei mobili di pregio presenti nell'immobile (All. 6 - copia contratto preliminare del 28 maggio 2013). Il sig. Villani, inoltre, senza accettare il contraddittorio sul punto e per mero tuziorismo difensivo, ha depositato, al comune di Roma Capitale (All. 7), per l'alloggio in questione, istanza di «affrancazione» dal vincolo del prezzo massimo di cessione, cosi come consentito dai commi 49-bis, ter e quater dell'art. 31 della legge 448/1998, come novellata dall'art. 25 undecies della legge 136/2018, a seguito della quale, comunque, la domanda di ripetizione dell'indebito del sig. Lauretti, sarebbe comunque inammissibile, improcedibile e/o infondata. In conclusione, il sig. Villani ritiene che le domande e pretese del sig. Lauretti, come formulate nella suddetta missiva dell'avv. Antonio Corvasce del 16 ottobre 2017, siano inammissibili, improcedibili o, comunque, del tutto infondate in fatto ed in diritto. Con ordinanza del 26 luglio 2020 questo arbitro autorizzava ha fissato la prima udienza per il giorno 3 luglio 2020, ore 10.00 concedendo termine sino al giorno 30 giugno 2020, per la formulazione dei quesiti, delle istanze istruttorie dirette ed il deposito di documenti e fino al giorno 2 luglio 2020, per la formulazione dei controquesiti, le istanze istruttorie ed il deposito di documenti in replica. Il sig. Lauretti, previa rituale e tempestivo deposito in data 30 giugno 2020 ribadiva le proprie deduzioni, cosi' come sopra riportate e le proprie conseguenti domande, cosi', testualmente, concludendo: «I. accertarsi e dichiararsi che il contratto di vendita delle porzioni immobiliari per cui e' causa, stipulato tra le odierne parti del giudizio e' parzialmente nullo, in particolare, all'art. 3 (pag. 2 del contratto), nella parte in cui si stabilisce il prezzo di vendita in euro 260.000,00: II. accertarsi e dichiararsi che il prezzo della proprieta' superficiaria relativa ai cespiti ceduti dal resistente e' quello, stabilito «ex lege», di euro 120.887,36 o, in via gradata, di quello «ex lege» che emergera' all'esito della presente procedura di arbitrato rituale. III. Per l'effetto, voglia codesto onorevole arbitro disporre, ai sensi del combinato disposto dell'art. 35 della legge 865/1971, dell'art. 18 del Decreto del Presidente della Repubblica 380/2001, nonche' degli articoli 1418, 1419 e 1339 del codice di procedura civile, la sostituzione automatica del suddetto prezzo di vendita, come sopra dichiarato nullo, con quella stabilito «ex lege» di euro 120.887,36 o, in via gradata, a quello «ex lege» che emergera' all'esito della presente procedura di arbitrato rituale. IV. Per l'ulteriore effetto, condannarsi il sig. Cristiano Villani, alla restituzione/ripetizione, in favore del sig. Lauretti, di quanto da quest'ultimo indebitamente pagato al suddetto resistente, per la causali di cui sopra, pari ad euro 139.112,64 o, in via gradata, a quella somma determinata «ex lege» e che emergera' all'esito della presente procedura di arbitrato rituale.». «Seguivano le relative istanze istruttorie e deposito documentale.». Il sig. Cristiano Villani, di contro, oltre a quanto dedotto con la «convenzione di arbitrato», eccepiva e concludeva come segue: «... 2) Nel merito, in via subordinata: Modifica normativa introdotta - Possibilita' affrancazione - Mancanza del Decreto di dettaglio - Sospensione - Responsabilita' aggravata ex art. 96 codice di procedura penale. Controparte avrebbe avuto l'obbligo giuridico di prendere atto della modifica legislativa intervenuta con il decreto-legge 119/2018 convertito in legge n. 136/2018 ed entrato in vigore il 19 dicembre 2018, il cui art. 25-undicies ha finalmente posto fine al caos relativo alla pubblicazione della sentenza delle SS.UU della Corte di cassazione 18135/2015, richiamata da controparte, il cui contenuto e' noto ad ogni parte e della circostanza, anche questa resa nota, che il sig. Villani, in data 30 giugno 2020, ha depositato, in quanto ex proprietario, presso il comune di Roma Capitale, la relativa istanza per la rimozione, dall'alloggio per cui e' lite, del vincolo convenzionale del prezzo massimo di cessione (cd. «affrancazione») (All. 8 - Istanza di affrancazione - Alt. 9 - Stima corrispettivo di affrancazione).». Il sig. Villani si riferisce all'art. 25-undecies della legge 136/2018 (legge finanziaria dell'anno 2018, ndr.) che ha modificato il comma 49-bis dell'art. 31 della legge n. 448/1998 nel seguente modo: 1. All'articolo 31 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, sono apportate le seguenti modificazioni: «a) il comma 49-bis e' sostituito dal seguente: «49-bis. I vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unita' abitative e loro pertinenze nonche' del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui all'art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni, per la cessione del diritto di proprieta' o per la cessione del diritto di superficie, possono essere rimossi, dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, con atto pubblico o scrittura privata autenticata, stipulati a richiesta delle persone fisiche che vi abbiano interesse, anche se non piu' titolari di diritti reali sul bene immobile, e soggetti a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari, per un corrispettivo proporzionale alla corrispondente quota millesimale, determinato, anche per le unita' in diritto di superficie, in misura pari ad una percentuale del corrispettivo risultante dall'applicazione del comma 48 del presente articolo. La percentuale di cui al presente comma e' stabilita, anche con l'applicazione di eventuali riduzioni in relazione alla durata residua del vincolo, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'art. 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Il decreto di cui al periodo precedente individua altre i criteri e le modalita' per la concessione da parte dei comuni di dilazioni di pagamento del corrispettivo di affrancazione dal vincolo. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano agli immobili in regime di locazione ai sensi degli articoli da 8 a 10 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, ricadenti nei piani di zona convenzionati»; dopo il comma 49-ter e' inserito il seguente: «49-quater. In pendenza della rimozione del vincoli di cui ai commi 49-bis e 49-ter, il contratto di trasferimento dell'immobile non produce effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato. L'eventuale pretesa di rimborso della predetta differenza, a qualunque titolo richiesto, si estingue con la rimozione dei vincoli secondo le modalita' di' cui ai commi 49-bis e 49-ter. La rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione comporta altresi' la rimozione di qualsiasi vincolo di natura soggettiva». 2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche agli immobili oggetto dei contratti stipulati prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. ...». Proseguiva, quindi, il sig. Villani, nei suoi scritti, deducendo testualmente che: «... La nuova normativa ha dunque stabilito la possibilita' di effettuare la rimozione dei vincoli legati all'edilizia convenzionale anche da persone non piu' titolari di diritti reali sull'immobile, come l'odierna resistente, versando il relativo dovuto, anche attraverso una dilazione del pagamento, che deve essere appositamente determinata da ogni comune mediante decreto. Le suddette disposizioni, come esplicitamente riportato nella richiamata novella normativa, si applicano retroattivamente. A parere della scrivente difesa, la fattispecie oggetto del presente giudizio ricade totalmente all'interno della nuova normativa emanata. Per quanto innanzi e tenuto conto del fatto che il sig. Villani, come anticipato, ha depositato presso il comune di Roma Capitale, come prescritto dal novellato art. 31, commi 49-bis, ter e quater della legge 448/1998, per l'alloggio in questione, l'istanza di affrancazione dal vincolo del prezzo massimo di cessione, il Sig. Lauretti avrebbe dovuto desistere dalla sua azione giudiziaria. Tuttavia, come sopra gia' riferito, il sig. Lauretti ha preferito aggravare la posizione del sig. Villani, in violazione del principio di buona fede ed abusando del proprio diritto, al fine di ottenere un ingiusto profitto, stante l'acquisto di un appartamento divenuto di pregio grazie agli interventi realizzati dal Villani e da questo ammobiliato secondo alti standard di qualita'. Tanto premesso, iI Sig. Cristiano Villani, come sopra rappresentato, difeso e domiciliato, chiede l 'accoglimento delle seguenti, Conclusioni Voglia il sig. arbitro adito, respinta ogni contraria istanza, per le suesposte ragioni: Preliminarmente: accertare e dichiarare l'intervenuta improcedibilita' della presente procedura o, in via gradata, l'inammissibilita' delle domande del sig. Lauretti, stante l'intervenuta presentazione, al comune di Roma Capitale, da parte del sig. Villani e relativamente all'alloggio per cui e' lite, dell'istanza di affrancazione dai vincoli convenzionali: Preliminarmente, in via gradata: sospendere il presente arbitrato in attesa dell'esito della suddetta istanza di «affrancazione» ed all'esito positivo di quest'ultima, dichiarare improcedibile la presente procedura o, in via gradata, inammissibili, le domande del sig. Lauretti. In via ulteriormente gradata, nel merito, in via principale: accertata la sussistenza dei motivi di contestazione suindicati, rigettare in toto la domanda del sig. Lauretti Andrea, in quanta infondata sia in fatto che in diritto. Nel merito, in via subordinata: nel caso della denegata ipotesi di accoglimento ancorche' parziale della domanda del sig. Lauretti Andrea, disporre la liberazione dei vincoli gravanti per cui e' lite, mediante pagamento, da parte del sig. Villani, dei soli oneri di «affrancazione» dal vincolo del prezzo massimo di cessione. Con vittoria di spese e competenze della presente procedura di arbitrato.». Seguivano le relative istanze istruttorie e deposito documentale. In data 2 luglio 2020 il sig. Lauretti, per il tramite dell'avv. Antonio Corvasce, depositava controdeduzioni autorizzate, alle memorie del sig. Villani, con le quali formulava eccezione di legittimita' costituzionale sull'art. 31, comma 49-bis della legge 448/1998, cosi' come novellato dall'art. 25-undecles della legge 136/2015, in particolare, eccependo: «... 1.1. - Violazione dell'art. 77 comma 2 della Costituzione in quanto la disposizione aggiunta all'art. 31 della legge 448/1998, dall'art. 25-undecies della legge 136/2018, e' eterogenea ed estranea rispetto alla materia ed alle finalita' dalle altre disposizioni del decreto-legge in cui e' stata inserita in sede di conversione (V. Corte Costituzionale 247/2019 - All. 1). 1.2. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione in relazione al principio di uguaglianza nella parte in cui il comma 49-bis dell'art. 31 della legge 448/1998 non consente a tutti i cittadini di accedere alla proprieta' della propria abitazione alle condizioni agevolate previste nelle convenzioni ex art. 35 della legge 865 del 22 ottobre 1971. Violazione degli articoli 10 e 42 della Costituzione. 2. - Violazione degli articoli 3 primo e secondo comma, 24, 101, 102, 104, 111, 117, primo comma, della Costituzione e 6 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmara a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (ratifica ed esecuzione della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmara a Roma il 4 novembre 1950, e del protocollo addizionale alla convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), in seguito indicata come CEDU per violazione del diritto ad un giusto processo, all'effettiva tutela giudiziaria e alla invulnerabilita' delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario; 3. Violazione dell'art. 3 della Costituzione per irragionevolezza e discriminazione tra cittadini, nella parte in cui il comma il 49-quater dell'art. 31 della legge 448/1998, introduce una deroga al generale principio della ripetizione di indebito ex art. 2033 codice di procedura civile e determina, di fatto, l'estinzione della pretesa restitutoria da parte dell'acquirente (solvens). Violazione degli articoli 42 e 97 della Costituzione. 4. Violazione dell'art. 3 della Costituzione sotto il profilo dell'affidamento per intromissione del legislatore nella autonomia contrattuale delle parti con effetto retroattivo. Violazione dell'art. 42 della Costituzione... .». In data 3 luglio 2020 si teneva l'udienza di discussione, nella quale i procuratori delle parti' hanno insistono nelle richieste formulate nei rispettivi atti. In particolare, l'avv. Corvasce nella denegata ipotesi in cui l'arbitro nominato avesse ritenuto applicabile al caso di specie l'art. 31 della legge 448/1998, commi 49-bis, ter e quater, come novellato dall'art. 25-undecies della legge 136/2018, ha insistito sulle eccezioni di legittimita' costituzionale di dette norme cosi come esposto nei propri atti. L'avv. De Luca, ha insistito sulla piena legittimita' del contratto di vendita e, riportandosi alle proprie memorie, ha chiesto il rigetto delle domande proposte dal sig. Lauretti, in quanto infondate in fatto e in diritto, anche alla luce del disposto dell'art. 25-undecies della legge n. 136/2018 e della circostanza che, in applicazione della suddetta norma, il dott. Villani ha proceduto a presentare domanda di affrancazione dell'alloggio per cui e' causa, dal vincolo del prezzo massimo di cessione. A fronte di specifica richiesta di parte, avanzata nell'udienza di cui sopra, l'arbitro non puo' esimersi dal valutare la possibilita' di sollevare questione di legittimita' costituzionale innanzi alla Consulta, sulla disciplina normativa che, sulla base delle prescrizioni di cui all'art. 31, commi 49-bis, ter e quater della legge 448/1998, cosi come novellata dall'art. 25-undecies della legge 136/2018, dichiaratamente retroattiva, impedisce allo stesso di pronunciarsi sulla domanda di ripetizione dell'indebito, conseguente alla domanda di accertamento della nullita' parziale del contratto di vendita in esame, cosi come proposte dal sig. Andrea Lauretti, dovendo valutare la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalita' sollevate da quest'ultimo. I motivi di incostituzionalita' illustrati dalla difesa dell'acquirente non appaiono, all'arbitro, manifestatamente infondati. Sulla Rilevanza: In base a quanto stabilito nella sentenza n. 174/2016 della Corte costituzionale (red. Sciarra), l'applicabilita' della disposizione al giudizio principale e' sufficiente a radicare la rilevanza della questione, che non postula un sindacato piu' incisivo sul concreto pregiudizio ai principi costituzionali coinvolti. Sotto una prospettiva piu' stringente (Corte costituzionale, sentenza n. 91/2013 - red. Cartabia), il nesso di pregiudizialita' tra il giudizio principale e il giudizio costituzionale implica che la norma censurata debba necessariamente essere applicata nel primo e che l'eventuale illegittimita' della stessa incida sul procedimento principale. In linea con quanto sopra, la sentenza n. 184/2006 (red. Silvestri) stabilisce che: «il vigente sistema di giustizia costituzionale impone, ai fini di ammissibilita' di una questione, che un'eventuale pronuncia di accoglimento sia in gado di incidere sul processo principale. Pertanto, difetterebbe di rilevanza una questione laddove il rimettente non potesse avvalersi nel processo a quo del pronunciamento della Corte a causa del prodursi di una situazione di fatto irreversibile su cui non avrebbe alcun effetto». Nel caso di specie, a parere del rimettente, sono soddisfatti tutti i requisiti per l'ammissibilita' del giudizio di legittimita' poiche': 1) e' indubbia l'applicabilita' delle disposizioni inquisite alla causa principale (arbitrato); 2) e' altrettanto indubbio che il rimettente potra' giovarsi, nell'arbitrato a quo, dell'eventuale pronunciamento di illegittimita' costituzionale della norma di che trattasi per accogliere o respingere la domanda di ripetizione di indebito e che, quindi, «un 'eventuale pronuncia di accoglimento sia in grado di incidere sul processo principale». Come eccepito dal sig. Cristiano Villani, l'art. 31 della legge 448/1998, comma 49-bis, consente la rimozione dei « ... vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione», per la tipologia di alloggi per cui e' causa, non appena decorsi cinque anni dalla data del primo trasferimento «.... con atto pubblico o scrittura privata autenticata, stipulati a richiesta delle Persone fisiche che vi abbiano interesse, anche se non piu' titolari di diritti reali sul bene immobile», stipulando una nuova convenzione, con il comune di riferimento, «... soggetta a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari» e, tra L'altro, per un corrispettivo che non prevede la necessaria restituzione, in favore degli enti pubblici eroganti, dei contributi pubblici percepiti per la realizzazione dei medesimi alloggi, cosi' lasciando tale onere in capo all'acquirente, attuale proprietario che, come visto potrebbe «subire» la rimozione del vincolo suddetto, da «chiunque vi abbia interesse», senza nulla poter eccepire. In particolare, il comma 49-quater recita espressamente: «In pendenza della rimozione dei vincoli di cui ai commi 49-bis e 49-ter, il contratto di trasferimento dell'immobile non produce effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato. L'eventuale pretesa di rimborso della predetta differenza, a qualunque titolo richiesto, si estingue con la rimozione dei vincoli secondo le modalita' di cui ai commi 49-bis e 49-ter. La rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione comporta altresi' la rimozione di qualsiasi vincolo di natura soggettiva». Queste ultime norme, poi, come visto, secondo quanto esplicitamente prescritto nelle qui scrutinata novella normativa, si applicano, retroattivamente, «... anche agli immobili oggetto dei contratti stipulati prima della data di entrata in vigore della Iegge di conversione del presente decreto» e, quindi, anche al contratto oggetto del presente arbitrato. Pertanto, pur considerando che il diritto alla ripetizione dell'indebito, da parte dell'acquirente, si estinguerebbe, definitivamente, solo al momento della stipulazione dell'atto pubblico o scrittura privata autenticata con cui verrebbe stipulata la nuova convenzione (tra il comune e «chiunque via abbia interesse», ndr.), nel nostro caso, il primo paragrafo del comma 49-quater, applicato retroattivamente, impedisce all'arbitro di poter decidere sulla domanda di ripetizione dell'indebito proposta dal sig. Andrea Lauretti, in quanto, come visto, quest'ultima norma dispone che «In pendenza della rimozione dei vincoli di cui ai commi 49-bis e 49-ter, il contratto di trasferimento dell'immobile non produce effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato; proprio sulla base di tale disposto normativo, il sig. Cristiano Villani, avendo, prima di avviare il presente procedimento di arbitrato, depositato, presso il comune di Roma Capitale, apposita istanza per la rimozione del ridetto vincolo convenzionale, ha domandato all'arbitro di dichiarare improcedibile o improseguibile la causa, in linea con copiosa, recente giurisprudenza del Tribunale di Roma sulla materia (All.: ordinanze del 1 giugno 2020-RG 63236/2018; 8 ottobre 2020- RG29212/2018; 4 novembre 2019-RG 36079/2018; 12 febbraio 2020-RG 72548/2018; 19 febbraio 2020-RG 80307/2018; 19 aprile 2019 RG 64651/2018; 26 giugno 2019-RG 74763/2018; 5 novembre 2019-RG 31420/2018; 17 giugno 2019-Santonico/Balbis+1; 29 marzo 2019-RG 47641/2018; Sentenze n. 1948/2019; 2738/2020; 4816/2020) o, comunque, inammissibile la ridetta domanda di ripetizione dell'indebito. Circa l'impossibilita' di un'interpretazione costituzionalmente orientata: La posizione del creditore (acquirente) in relazione all'istanza di «affrancazione» proposta dal sig. Villani, idealmente, viene a scindersi in tre diversi momenti: 1) situazione antecedente il deposito deiristanza, durante il quale gli viene riconosciuto il diritto alla ripetizione dell'indebito: 2) situazione nascente dal deposito dell'istanza che determinerebbe 1'improcedibilita' o l'improseguibilita' (in quanta sopraggiunta in corso di causa) della sua domanda di ripetizione di indebito (Vd. giurisprudenza sopra citata); 3) situazione nascente dalla stipulazione (da parte di chiunque vi abbia interesse, ndr.) della convenzione integrativa, per atto pubblico o della scrittura privata autenticata, da trascriversi, (di cui al piu' volte citato comma 49-bis) che, in base a quanto disposto dal secondo paragrafo del comma 49-quater, determinerebbe la definitiva estinzione del diritto alla ripetizione dell'indebito vantato dall'acquirente. In sintesi, nel caso che ci occupa, secondo il sopra esposto dettato normativa scrutinato di legittimita' costituzionale, la domanda del sig. Lauretti (solvens) di ripetizione dell'indebito dovrebbe immediatamente essere dichiarata improcedibile o «improseguibile». Codesto arbitro intende discostarsi da quest'ultima soluzione, per i seguenti motivi. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale L'arbitro ritiene che fondati siano i dubbi di legittimita' costituzionale sulla normativa che, sulla base delle prescrizioni di cui all'art. 31 della legge 448/1998, commi 49-bis, ter e quater, gli impedisce di poter decidere sulla' domanda di ripetizione d'indebito avanzata dal sig. Andrea Lauretti, procedendo ad esplicitame le ragioni. Si ritiene, in particolare, che il combinato disposto dei cornuti 49-bis, ter e quater dell'art. 31 della legge 448/1998, invocato dal Villani, non sembra permettere l'emissione di un lodo arbitrale costituzionalmente orientato, per violazione degli articoli 3, 10, 24, 42, 47, 77, 101, 102, 104, 111, 117 della Costituzione, nonche' dell'art. 6 della convenzione europea per la Salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle Liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, per i motivi che di seguito, analiticamente si espongono. 1. - Violazione dell'art. 77 comma 2 della Costituzione in quanto, l'art. 25-undecies della legge 136/2018, e' norma eterogenea ed estranea rispetto alla materia ed alle finalita' dalle altre disposizioni del decreto-legge n. 119/2018, in cui e' stata inserita in sede di conversione. Appare all'arbitro, violato, in primis„ l'art. 77 comma 2 della Costituzione, in quanto l'art. 25-undecies, aggiunta al decreto-legge n. 119 dei 2018, poi convertito con la legge 136/2018, e' eterogenea ed estranea rispetto alla materia ed alle finalita' delle altre disposizioni del medesimo decreto, in cui e' stata inserita in sede di conversione. Quanto ai contenuti basta esaminare i titoli di cui si componeva il testo del decreto presentato per la conversione al Senato. Quanto alle finalita', si rileva che le ragioni di straordinaria necessita' ed urgenza sono state ricondotte alla previsione di «misure per esigenze fiscali e finanziarie indifferibili»; sicche', arduo affermare che la normativa censurata risponda ad esigenze «fiscali» o «finanziarie», per di piu' indifferibili. Al riguardo si evidenzia che l'art. 25-undecies della legge 136/2018 ha novellato l'art. 31 della legge 448/1998 (disposizioni in materia di determinazione del prezzo massimo di cessione), introdotto dall'art. 5, comma 3-bis, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, inserito dalla legge di conversione 12 luglio 2011, n. 106, che ha inserito i commi 49-bis e 49-ter, al dichiarato fine di «agevolare il trasferimento dei diritti immobiliari» nell'ambito dell'edilizia convenzionata. La norma in esame, di cui si sospetta l'illegittimita' costituzionale, inserita in sede di conversione, si presenta pertanto del tutto estranea rispetto alla materia disciplinata dalle disposizioni originarie del decreto stesso. Sull'argomento, la Corte costituzionale con sentenza n. 247/2019, chiamata ad esprimersi sulla legittimita' dell'art. 25-septies della stessa legge 136/2018, ha ricordato che «l'inserimento di norme eterogenee rispetto all'oggetto o alla finalita' del decreto-legge determina la violazione dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione. Tale violazione, per queste ultime norme, non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessita' e urgenza, giacche' esse, proprio per essere estranee e inserite successivamente, non possono collegarsi a tali condizioni preliminari (sentenza n. 355 del 2010), ma scaturisce dall'uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione attribuisce ad esso, con speciali modalita' di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge» (sentenza n. 22 del 2012). Ricorda ancora la Consulta che «La legge di conversione e' fonte funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza di legge ed e' caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare e semplificato rispetto a quello ordinario. Essa non puo' quindi aprirsi a qualsiasi contenuto, come del resto prescrive, in particolare, l'art. 96-bis del regolamento della Camera dei deputati. A pena di essere utilizzate per scopi estranei a quelli che giustificano l'atto con forza di legge, le disposizioni introdotte in sede di conversione devono potersi collegare al contenuto gia' disciplinato dal decreto-legge, ovvero, in caso di provvedimenti governativi a contenuto plurimo, «alla ratio dominante del provvedimento originario considerato nel suo complesso» (sentenza n. 32 del 2014)». «E' vero» - ribadisce la Corte - che «la legge di conversione [...] rappresenta una legge «funzionalizzata e specializzata» che non puo' aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore, anche nel caso di provvedimenti governativi ab origine eterogenei (ordinanza n. 34 del 2013), ma ammette soltanto disposizioni che siano coerenti con quelle originarie o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistica» (sentenza n. 32 del 2014).». La Corte ha precisato che la violazione dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione per difetto di omogeneita' si determina quando le disposizioni aggiunte siano totalmente «estranee» o addirittura «intruse», cioe' tali da interrompere ogni correlazione tra il decreto-legge e la legge di conversione (sentenza n. 251 del 2014), per cui «Solo la palese estraneita' delle norme impugnate rispetto all'oggetto e alle finalita' del decreto-legge» (sentenza n. 22 del 2012) o la «evidente o manifesta mancanza di ogni nesso di interrelazione tra le disposizioni incorporate nella legge di conversione e quelle dell'originario decreto-legge» (sentenza n. 154 del 2015) possono inficiare di per se' la legittimita' costituzionale della norma introdotta con la legge di conversione» (sentenza n. 181 del 2019, nonche', da ultimo, nello stesso senso, sentenza n. 226 del 2019). Alla stregua dei principi richiamati dalla Consulta, appare, nella specie, che tra le norme che hanno formato oggetto del decreto-legge n. 119 del 2018 e l'art. 25-undecies della legge 136/2018, inserito ad opera della legge di conversione, non sia intravedibile alcun tipo di nesso che le correli fra loro, ne' sul versante dell'oggetto della disciplina o della ratio complessiva del provvedimento di urgenza, ne' sotto l'aspetto dello sviluppo logico o di integrazione, ovvero di coordinamento rispetto alle materie «occupate» dall'atto di decretazione. L'originario decreto, infatti, enunciava i presupposti della straordinaria necessita' e urgenza come raccordati a «misure per esigenze fiscali e finanziarie indifferibili». Il provvedimento, in particolare, era strutturato in due titoli: il primo, recante «Disposizioni in materia fiscale», ed il secondo «Disposizioni finanziarie urgenti». Il primo titolo era a sua volta suddiviso in tre capi: il primo recante «Disposizioni in materia di pacificazione fiscale», composto da nove articoli; il capo II recante «Disposizioni in materia di semplificazione fiscale e di innovazione del processo tributario», composto di sette articoli; il capo III recante «Altre disposizioni fiscali», composto da quattro articoli. Il Titolo II era composto da sette articoli. L'arbitro ritiene sia da escludere qualsiasi pertinenza delle disposizioni di carattere fiscale contenute nel titolo I del decreto e, comunque tipiche di una legge finanziaria, rispetto al tema della determinazione del prezzo massimo di cessione di alloggi di edilizia economica e popolare o dell'agevolazione delle vendite immobiliari, sostanziandosi, questi ultimi in temi di natura urbanistica. In conclusione, non sembra dubbio in verita' che, nel caso di specie, si possa ravvisare un contenuto della legge di cui si sospetta l'illegittimita' costituzionale, del tutto in contraddizione con il disposto dell'art. 77 della Costituzione. 2. - Violazione della tutela del legittimo affidamento e della certezza dei rapporti preteriti. 2.1. - La norma censurata, incidendo retroattivamente su diritti gia' maturati (in base all'ordinamento preesistente), interferisce, determinando un vantaggio per una delle parti del giudizio, su singole cause o su determinate tipologie di controversie gia' pendenti, in assenza di ragioni imperative d'interesse generale, cosi' concretandosi un'indebita ingerenza nell'amministrazione della giustizia da parte del legislatore, in presenza di un corposo contenzioso e di un orientamento della Corte di cassazione sfavorevole a una parte, peraltro, ribadisce, assegnando alla norma una portata vantaggiosa per una parte del processo, in assenza di «motivi imperativi di interesse generale», come enucleati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. Al riguardo, come anticipato, si e' espressa la Corte costituzionale che, nella sentenza n. 12 del 30 gennaio 2018, ha stabilito che e' vietato qualunque intervento legislativo diretto a determinare l'esito di una controversia. Piu' precisamente, in quest'ultima sentenza si stabilisce che, in ossequio all'art. 6 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, il potere legislativo non puo' interferire in funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario e vieta al legislatore di ingerirsi nell'amministrazione della giustizia al fine precipuo di influenzare l'esito di una particolare controversia. Sembra, inoltre, concretizzarsi, nella fattispecie, in esame, la violazione del principio della «parita' delle armi» stabilito nell'art. 6 del CEDU laddove si concede uno strumento, al venditore (accipiens), atto a sottrarsi in qualsiasi momento alla pretesa di ripetizione dell'indebito dell'acquirente (solvens), che pur avendo un diritto, si trova nell'impossibilita' di dare seguito alle proprie legittime pretese restitutorie. La Corte di Strasburgo ha giudicato piu' volte illegittimo tale intervento. Nel caso Vezon c. Francia, per esempio, il ricorso aveva alla base l'asserita violazione dell'art. 6 della convenzione in ragione di un intervento legislativo retroattivo in materia finanziaria. In particolare, l'oggetto della questione riguardava le modalita' di restituzione di un prestito che i ricorrenti avevano ricevuto da un istituto di credito. L'intervento legislativo retroattivo aveva modificato i termini dell'offerta di prestito imponendo ai ricorrenti la restituzione di quanto ricevuto dalla banca, pagamento che i ricorrenti non erano in grado di sostenere. La Corte di Strasburgo ha giudicato illegittimo tale intervento affermando che «non si puo' parlare di parita' delle armi tra due soggetti privati, avendo lo Stato dato ragione ad uno di loro, adottando la legge impugnata». Tale tesi, che fa riferimento al ruolo del legislatore quale garante del principio di legalita' e di organo posto in posizione terza rispetto ai privati, e' stata ribadita nel successivo caso Ducret c. Francia, che riguardava un prestito che il ricorrente aveva richiesto a una societa' al fine di poter acquistare un immobile. La societa' gli aveva sottoposto un'offerta preliminare di prestito che egli aveva accettato e, in ragione della quale, era stato stipulato il contratto stimando il rimborso in centottanta rate. A seguito di alcune difficolta' finanziarie, il ricorrente non fu piu' in grado di adempiere al pagamento concordato per il rimborso del prestito. Il ricorrente aveva citato la societa' in giudizio sostenendo che non aveva tenuto fede al piano di restituzione del prestito che gli aveva presentato nell'offerta preliminare. Mentre il ricorso era (Sentenza Corte EDU, Vezon c. Francia, ric. n. 66018/01 del 18 aprile 2006, § 34) sottoposto all'attenzione della Corte di cassazione, il legislatore aveva emanato una legge in materia finanziaria con portata retroattiva che sostanzialmente affermava la regolarita' dell'offerta di prestito e il dovere del ricorrente di rimborsare la societa'. L'effetto retroattivo della norma in questione, quindi, si rileverebbe quale elemento di violazione del parametro costituzionale del legittimo affidamento, da ricondurre anch'esso al principio di ragionevolezza ed all'art. 3 della Costituzione. La Corte costituzionale ha infatti affermato che l'irretroattivita' costituisce un principio generale del nostro ordinamento (art. 11 preleggi) e, se pur non elevato, fuori della materia penale, a dignita' costituzionale (art. 25, secondo comma, della Costituzione), rappresenta pur sempre una regola essenziale del sistema a cui, salva un'effettiva causa giustificatrice (che nella fattispecie manca), il legislatore deve ragionevolmente attenersi, in quanto «la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillita' dei cittadini» (Corte costituzionale n. 155/1990, n.. 424/1993 e nn. 93 e 41 del 2011). Nel caso di specie, in caso di applicazione retroattiva della norma in esame, proprio la tutela dell'affidamento e la certezza dei rapporti verrebbe meno, in quanto vi sarebbero dei soggetti che potrebbero unilateralmente e potestativamente incidere sul regime giuridico di un bene altrui con effetti retroattivi, senza che sia individuabile una ragionevole causa giustificatrice. Ne' tale causa potrebbe essere individuata nell'allarme sociale determinato dalle sentenza di condarma che avrebbero messo in difficolta' economica una delle parti in causa, che nemmeno tanto implicitamente sembra essere l'argomento alla base dell'ultimo intervento del legislatore, atteso che occorrerebbe comunque giustificare la circostanza che tale «sanatoria» verrebbe inevitabilmente estesa anche a coloro che hanno illegittimamente e consapevolmente speculato sulla rivendita di beni immobili realizzati beneficiando di contributi a fondo perduto ed altre provvidenze pubbliche, delle quali la norma in esame non si premura nemmeno di prevedere la restituzione, cosi' generandosi anche un sicuro e gravissimo danno erariale. D'altronde, le somme eventualmente dovute in caso di soccombenza non andrebbero di certo ad incidere sul patrimonio del venditore, atteso che, come visto sopra, le somme eccedenti il prezzo massimo di cessione non potrebbero essere considerate legittimamente entrate nel patrimonio di quest'ultimo accipiens in quanto frutto di illecita violazione di norme imperative. L'applicazione retroattiva della novella normativa in esame, violerebbe, quindi, l'art. 3 della Costituzione e l'art. 117, primo comma, della Costituzione in relazione all'art. 6 della CEDU. Si ribadisce, infatti, che in forza dei principi stabiliti dalla Corte costituzionale (sentenza n. 78 del 2012 e n. 170 del 2013), la retroattivita' della legge, per essere legittima, deve trovare la propria giustificazione in difficolta' interpretative del testo o in motivi di interesse generale preminente: cio' anche in applicazione del piu' volte richiamato art. 6 della CEDU, come interpretata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Nel caso di specie, invece, lo si ribadisce, la retroattivita' sarebbe giustificata esclusivamente dall'interesse economico di uno dei contraenti che avendo venduto ad un prezzo superiore a quello consentito l'immobile acquistato a prezzo calmierato e beneficiando altresi' delle agevolazioni pubbliche, e' obbligato a restituire al suo avente causa, ex art. 2033 codice di procedura civile, la differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato. Non sussistono, quindi, i presupposti per ritenere non illegittima l'applicazione retroattiva della disposizione in esame. 2.2. - Tali essendo gli effetti della disciplina impugnata, occorre esaminare la questione di legittimita' costituzionale anche alla luce della giurisprudenza costituzionale e sovranazionale sviluppatasi in materia di leggi retroattive, rispettivamente in riferimento all'art. 3 della Costituzione e all'art. 6 della CEDU, come richiarnato dall'art. 117, primo comma, della Costituzione. I profili di illegittimita' costituzionale qui eccepiti devono essere esaminati congiuntamente, in modo che l'art. CEDU, come applicato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, sia letto in rapporto alle altre disposizioni costituzionali e, nella specie, all'art. 3 della Costituzione, secondo gli orientamenti seguiti dalla giurisprudenza costituzionale in tema di efficacia delle norme della CEDU, sin dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007. La Corte costituzionale ha afferrnato che «la norma CEDU, nel momento in cui va ad integrare il primo comma dell'art. 117 della Costituzione, come norma interposta, diviene oggetto di bilanciamento, secondo le ordinarie operazioni cui questa Corte chiamata in tutti i giudizi di sua competenza», affinche' si realizzi la necessaria «integrazione delle tutele» (sentenza n. 264 del 2012), che spetta alla Corte assicurare nello svolgimento del proprio infungibile ruolo. Pertanto, quando, come nel caso di specie, vengono in rilievo, ai sensi dell'art. 117, primo comma della Costitnzione, norme della CEDU, la valutazione di legittimita' costituzionale «deve essere operata con riferimento al sistema e non a singole norme, isolatamente considerate» e tale e' l'operazione interpretativa che codesto giudice e' chiamato ad effettuare nel caso di specie, in quanto «un'interpretazione frammentaria delle disposizioni normative [...] rischia di condurre, in molti casi, ad esiti paradossali, che finirebbero per contraddire le stesse loro finalita' di tutela» (Corte costituzionale. sentenza n. l del 2013). Altrimenti detto, la Corte opera una valutazione «sistemica e non frazionata» dei diritti coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata, effettuando il necessario bilanciamento in modo da assicurare la «massima espansione delle garanzie» di tutti i diritti e i principi rilevanti, costituzionali e sovranazionali, complessivamente considerati, che sempre si trovano in rapporto di integrazione reciproca (sentenze n. 85 del 2013 e n. 264 del 2012). Conseguentemente, il giudice delle leggi ha individuato una serie di limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi attinenti alla salvaguardia di principi costituzionali e di altri valori di civilta' giuridica, tra i quali sono ricompresi «il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario» ex multis, Corte costituzionale, sentenze n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010). In particolare, in situazioni paragonabili al caso in esame, la Corte ha gia' avuto modo di precisare che la norma retroattiva non puo' tradire l'affidamento del privato (come invece avverrebbe nel caso di specie, in danno degli odierni appellanti), specie se maturato con il consolidamento di situazioni sostanziali, addirittura, pur se la disposizione retroattiva sia dettata dalla necessita' di contenere la spesa pubblica o di far fronte ad evenienze eccezionali ex plurimis, sentenze n. 24 del 2009, n. 374 del 2002 e n. 419 del 2000). La Corte di Strasburgo, poi, ha ripetutamente affermato, con specifico riguardo a leggi retroattive del nostro ordinamento, il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo sanciti dall'art. 6 della CEDU, i quali ostano, salvo che per motivi imperativi di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia al fine di influenzare l'esito giudiziario di una controversia (V. pronunce 11 dicembre 2012, De Rosa contro Italia; 14 febbraio 2012, Arras contro Italia; 7 giugno 2011, Agrati contro Italia; 31 maggio 2011, Maggio contro Italia; 10 giugno 2008, Bortesi contro Italia; Grande Camera, 29 marzo 2006, Scordinocontro Italia). La Corte di Strasburgo ha altresi' rimarcato che le circostanze addotte per giustificare misure retroattive devono essere intese in senso restrittivo (pronuncia 14 febbraio 2012, Arras contro Italia) e che il solo interesse finanziario dello Stato non consente di giustificare l'intervento retroattiva (pronunce 25 novembre 2010, Lilly France contro Francia; 21 giugno 2007, Scanner de l'Ouest Lyonnais contro Francia; 16 gennaio 2007, Chiesi S.A. contro Francia; 9 gennaio 2007, Arnolin contro Francia; 11 aprile 2006, Cabourdin contro Francia). Viceversa, lo stato del giudizio e il grado di consolidamento dell'accertamento, l'imprevedibilita' dell'intervento legislativo, sono tutti elementi considerati dalla Corte europea per verificare se una legge retroattiva determini una violazione dell'art. 6 della CEDU: sentenze 27 maggio 2004, Ogis Institut Stanislas contro Francia; 26 ottobre 1997, Papageorgiou contro Grecia; 23 ottobre 1997, National & Provincia] Building Society contro Regno Unito. Le sentenze da ultimo citate, pur non essendo direttamente rivolte all'Italia, contengono affermazioni generali, che la stessa Corte europea ritiene applicabili oltre il caso specifico e che questa Corte considera vincolanti anche per l'ordinamento italiano. Sotto altro profilo, si rimarca che in ragione delle pronunce giurisdizionali rese dalla Suprema Corte (Cass. Civ., sez. II, 21/12/1994, n. 11032; Cass. Civ., sez. II, 02/10/2000, n. 13006; Cass. Civ., sez. II, 10/02/2010, n. 3018; Cass. Civ., Sez. Un., 12/01/2011, n. 506; Cass. Civ., Sez. Un., 16/09/2015, n. 18135; Cass. Civ., sez. II, 03/01/2017, n. 21; Cass. Civ., sez. II, 04/12/2017, n. 28949, Cass. Civ., sez. Il, 28/05/2018, n. 13345) gli aventi causa hanno legittimamente incardinato il giudizio per ottenere la ripetizione di quanto corrisposto indebitamente. Domande giudiziali avviate in ragione della solidita' giuridica delle argomentazioni sviluppate dal massimo organo giurisdizionale che, per ben due volte anche a sezioni unite, ha confermato la nullita' della clausola contrattuale determinativa del prezzo in violazione del prezzo imposto dalla legge. Deve riconoscersi quindi, anche nel caso di diritti sorgenti da pronunce giurisdizionali univoche, l'intangibilita' dei diritti quesiti qual e', appunto, il diritto alla restituzione della parte del prezzo pagata in eccesso. In sintesi, in base ai principi giurisprudenziali sopra esposti, sviluppati tanto dalla Corte costituzionale quanto dalla Cassazione e dalla Corte europea, la norma qui scrutinata, appare costituzionalmente illegittima laddove si attribuisca doveroso rilievo alle seguenti circostanze: il consolidamento delle aspettative dei creditori, incise dalla disposizione retroattiva; l'imprevedibilita' dell'innovazione legislativa; l'assenza di adeguati motivi che giustifichino la retroattivita' della legge. In ordine a quest'ultimo aspetto, e' opportuno ribadire che, a differenza di altre discipline retroattive scrutinate dalla Corte costituzionale (sentenza n. 264 del 2012), la disposizione censurata non pare volta a perseguire interessi di rango costituzionale, che possano giustificarne la retroattivita'. L'unico interesse appare, lo si ripete, quello economico, del venditore, odierno appellato, a trattenere per se' delle somme illecitamente percepite. Tuttavia, un simile interesse sembra inidoneo, di per se', nel caso di specie, a legittimare un intervento normativo come quello in esame, che finisce per determinare una disparita' di trattamento, a scapito degli acquirenti che vedrebbero ingiustamente frustrate le loro legittime aspettative di ripetizione di quanto indebitamente corrisposto, al momento della stipulazione del contratto di trasferimento che ci occupa, e questo non puo' essere dato. In conclusione, lo si ribadisce, in caso di applicazione retroattiva della novella legislativa in parola, la stessa paleserebbe la sua illegittimita', sia per violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, sia per violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione dell'art. 6 della CEDU, in considerazione del pregiudizio che essa arrecherebbe alla tutela dell'affidamento legittimo e della certezza delle situazioni giuridiche, in assenza di motivi imperativi di interesse generale costituzionalmente rilevanti. 3. Contrasto con l'art. 3 della Costituzione. 3.1. - Il disposto di cui all'art. 31, commi 49-bis, ter e quater, si mostra in contrasto con l'invocato parametro per una pluralita' di profili. Risulterebbe, in primis, violato l'art. 3 della Costituzione, dal qualedesumibile, altresi' il parametro di uguaglianza. E' evidente che la norma qui scrutinata, di costituzionalita', intervenendo dopo otto anni dalla norma di riferimento (decreto legge n. 70/2011 (decreto sviluppo), convertito con legge 106/2011), modifica i parametri di riferimento di una pretesa giuridica, come compiutamente definita dalla legge e come emerge con chiarezza anche dalle pronunce della Corte di cassazione in materia. Si creerebbe, cosi, una situazione di disparita' fra soggetti che potrebbero legittimamente invocare l'applicazione dell'art. 2033 del codice di procedura civile. Tale disparita' non trova alcuna ragione giustificatrice. Al contrario, la ratio della legge 106 del 2011 era sicuramente individuabile nella possibilita' offerta a chi era titolare di un diritto di proprieta' di un bene realizzato in edilizia convenzionate, di rimuovere i vincoli convenzionali gravanti sull'immobile per agevolarne la successiva rivendita a prezzi non calmierati. La facolta', concessa ai proprietari, rispondeva quindi ad una logica di apparente coerenza con il sistema giuridico di circolazione dei beni immobili e di rispetto del principio di successione delle leggi nel tempo rispettoso dell'orientamento costante della Corte costituzionale, secondo il quale «non contrasta di per se' con il principio di eguaglianza un differenziato trattamento applicato alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, poiche' proprio il fluire del tempo costituisce un elemento diversificatore delle situazitni giuridiche» (ordinanze n. 216 del 2005 e n. 121 del 2003). «Spetta difatti alla discrezionalita' del legislatore, nel rispetto del canone di ragionevolezza, delimitare la sfera temporale di applicazione delle norme e, da questa angolazione, il fluire del tempo puo' rappresentare un apprezzabile criterio distintivo nella disciplina delle situazioni giuridiche (sentenze n. 273 del 2011, punto 4.2. del Considerato in diritto, e n. 94 del 2009, punto 7.2. del Considerato in diritto)». Secondo la Corte costituzionale non era pertanto irragionevole che la facolta' di procedere alla liberazione dal vincolo del prezzo potesse essere riconosciuta solo a coloro che risultavano essere proprietari degli immobili dopo l'entrata in vigore della legge. Giova rilevare, peraltro, che persino quando la giurisprudenza costituzionale riconosce la possibilita' di modificare situazioni giuridiche consolidate, purche' in modo non irrazionale o arbitrario, e' sempre stato in ragione di un interesse collettivo superiore o per ragioni di interesse generale (ragioni di bilancio dello Stato), mai per favorire una parte privata o per influire su un giudizio in corso. Nel caso de quo, invece, come emerge gia' dalla relazione di accompagnamento e dall'intervento del relatore proponente on. Ugo Grassi, la finalita' della novella normativa sarebbe, dichiaratamente, quella di contrastare l'interpretazione giurisprudenziale consolidata per agevolare una delle parti in causa, senza che ricorressero evidenti e comprovate ragioni di ordine superiore. Il relatore ha affermato, in particolare: «Come sapete, stiamo per approvare un emendamento il cui fine e' porre rimedio a un problema gravissimo che e' stato determinato all'esito della sentenza della Corte di cassazione n. 18135 del 2015. In estrema sintesi, la sentenza ha stabilito che la vendita di taluni beni in regime di edilizia convenzionata, in violazione dei limiti di prezzo, determina la nullita' parziale del contratto per la quota esuberante rispetto al prezzo cosiddetto calmierato. Segnalo che la Corte di cassazione ha ritenuto di concludere tout court per la nullita', senza svolgere un'indagine sull'interesse protetto dalla norma. E' noto che la nullita' assoluta del nostro ordinamento entra in gioco nel caso in cui l'interesse protetto sia sovraindividuale e indisponibile. Che l'interesse in questione sia disponibile e' confermato dal fatto che la norma gia' in vigore consente di eliminare tali vincoli tramite l'affrancazione, quindi trattasi non di un interesse indisponibile, ma di un interesse assegnato alla disponibilita' dei privati, ancorche' di rango pubblicistico. Dunque, la sanzione della nullita' appare ultronea rispetto alla ratio della norma. Sul punto dunque interviene quella che si definisce un'interpretazione autentica del legislatore. Ricordiamo che la norma originale non indica espressamente la nullita', che e' frutto di un combinato disposto. Qui l'interpretazione autentica del legislatore indica nella parziale inefficacia del contratto, limitatamente alla quota esuberante di prezzo, la conseguenza della violazione della norma stessa, con delle conseguenze importanti dal punto di vista sistematico, giacche' evidentemente la patologia dell'atto puo' essere sanata dal venditore nel caso in cui questi provveda ad attivare il procedimento, ancorche' ex post, per l'eliminazione dei vincoli.» (cfr. resoconto stenografico del Senato, pag. 91, allegato ...). E la medesima inammissibile giustificazione si riscontra nel dossier della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica del 3 dicembre 2018, «Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria (decreto legge 119/2018 - A.C. n. 1408)» (pag. 194- 195; allegato ...): «La ratio della disposizione in commento sembra, dunque, essere quella di estendere le fattispecie di applicazione della procedura di rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione, consentendo che di tale facolta' possano avvalersi, oltre che gli attuali proprietari, anche i venditori non piu' titolari di diritti reali sul bene immobile in questione, configurando l'eventuale pagamento dell'onere dell'affrancazione da parte del venditore non piu' come oggetto di una transazione contrattuale tra le parti bensi' come l'esecuzione di un adempimento legale. Per i contratti di compravendita stipulati prima dell'entrata in vigore della presente disposizione (alla sanatoria dei cui effetti la disposizione in commento appare preordinata), il richiamato adempimento (cioe' il versamento del corrispettivo per l'affrancazione) per i venditori non e', peraltro, configurato dalla disposizione in esame in termini di obbligo, bensi' quale facolta' di richiesta, con la conseguenza che, ove il venditore non piu' titolare di diritti reali sul bene immobile non dovesse spontaneamente provvedere ad avanzare richiesta di rimozione del vincolo relativo all'immobile da lui gia' alienato, a tale adempimento, e al connesso onere di versamento al comune del corrispettivo dell'affrancazione, dovrebbe provvedere la parte acquirente convenzionata.» Appare evidente che non si puo' rinvenire altra ratio ispiratrice della novella normativa in questione, diversa da quella espressamente indicata nei lavori preparatori della disciplina oggetto d'impugnazione: l'intento d'intervenire sul contenzioso pendente al solo fine di orientare in un determinato senso l'esito dei giudizi. In merito alla legge d'interpretazione autentica, codesta Eccellentissima Corte ha chiarito che essa non puo' dirsi costituzionalmente illegittima soltanto qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato gia' in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (tra le tante, cfr. sentenze n. 271 e n. 257 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009). In tal caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire «situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo», in ragione di «un dibattito giurisprudenziale irrisolto» (sentenza n. 311 del 2009), o di «ristabilire un'interpretazione piu' aderente alla originaria volonta' dei legislatore» (ancora sentenza n. 311 del 2009), a tutela della certezza del diritto e dell'eguaglianza dei cittadini, cioe' di principi di preminente interesse costituzionale. Accanto a tale caratteristica, si e' individuata una serie di limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civilta' giuridica, posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi' il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 209 del 2010). In relazione ai criteri evocati dalla giurisprudenza di codesta Eccellentissima Corte, appare evidente l'illegittimita' della normativa impugnata, che non esplicita affatto un significato gia' contenuto nella disciplina previgente e che integra palesemente gli estremi di una lesione delle prerogative del potere giudiziario, mirando a intervenire sul contenzioso pendente, al fine di orientarne gli esiti. Risultano, dunque, violati, anche sotto tali profili, gli articoli 3, 24, 101, 111 e 102 della Costituzione: da un lato, infatti, appare irrimediabilmente compromesso il fondamentale diritto di difesa della parte illegittimamente penalizzata dall'intervento normativo (con lesione degli articoli 24 e 111 della Costituzione); dall'altro lato, si riscontra una violazione delle prerogative del potere giudiziario (cosi' come definite dagli articoli 101 e 102 della Costituzione), in relazione alle quali l'intervento legislativo mascherato da disciplina interpretativa produce un'intollerabile lesione. 3.2. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione nella parte in cui il comma il 49-Quater dispone che «In pendenza della rimozione dei vincoli di cui ai commi 49-bis e 49-ter, il contratto di trasferimento dell'immobile non produce effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato. L'eventuale pretesa di rimborso della predetta differenza, a qualunque titolo richiesto, si estingue con la rimozione dei vincoli secondo le modalita' di cui ai commi 49-bis e 49-ter», cosi' impedendo, all'acquirente (solvens, nel caso di specie il sig. Lauretti, ndr.) di poter azionare la propria pretesa restitutoria per le somme indebitamente pagate, al momento dell'acquisto del proprio immobile, al venditore (accipiens, nel caso di specie il sig. Villani, ndr.), in quanto somme di denaro eccedenti il prezzo massimo consentito dalle convenzioni ex art. 35 della legge 865/1971 e questo sol perche' quest'ultimo venditore ha avviato, presso il comune di Roma Capitale, la procedura amministrativa di rimozione del ridetto vincolo convenzionale. A mente dell'art. 2033 del codice di procedura civile, l'azione di ripetizione di indebito (tutela restitutoria) ha come suo fondamento l'inesistenza della obbligazione adempiuta da una parte o perche' il vincolo obbligatorio non e' mai sorto o perche' e' venuto meno successivamente, ad esempio a seguito di annullamento. In altre parole, il cuore della tutela restitutoria sta nell'alterazione delle situazioni di fatto e di diritto che si sono verificate sine causa, in cui vi e' uno spostamento di natura patrimoniale dalla sfera giuridica di un soggetto ad un altro che non ha giustificazione, e cio' a prescindere che vi sia stato un comportamento illecito. Nella fattispecie giuridica di cui trattasi, l'azione di ripetizione di indebito ha come suo fondamento la nullita' parziale della clausola del prezzo stabilito nei contratti di compravendita e sostituzione con quello determinato ex lege in base ai parametri previsti nella convenzione ex art. 35 della legge 865/1971. Sul punto, lo si' ribadisce, la Corte di cassazione, a sezioni unite, ha piu' volte statuito che ai sensi della legge 22 ottobre 1971, n. 865. art. 35, che delega al consiglio comunale la fissazione dei criteri per la determinazione dei prezzi di cessione degli alloggi in materia di edilizia convenzionata, gli atti amministrativi relativi, cosi come le convenzioni, in quanto promananti in forza della predetta delega legislativa, traggono da quest'ultima, direttamente, il carattere di imperativita' e pertanto debbono ritenersi compresi nella previsione dell'art. 1339 codice di procedura civile; cui si ricollega quella dell'art. 1419. comma 2, codice di procedura civile posto che la conseguenza tipica della difformita' di una clausola negoziale da una norma imperativa a' la sanzione della nullita' della clausola stessa; senza riflessi invalidanti, peraltro, sull'intero contratto in ipotesi di sostituzione di diritto (Cassazione civile SS.UU. nn. 18135/2015 e 506/2011; Cassazione civile, sez. 2, 10 febbraio 2010 n. 3018; Cass., sez.2, 21 dicembre 1994 n. 11032; Cass. n. 5369 del 12 aprile 2002). La tutela restitutoria di cui all'art. 2033 del codice di procedura civile ha per obiettivo quella di ripristinare la situazione di fatto e di diritto in cui il patrimonio del soggetto si trovava prima di un certo avvenimento e si differenzia dal risarcimento del danno perche' quest'ultimo tipo di tutela non consiste nel ripristinare una situazione per com'era, ma tenere indenne il soggetto dal peso del danno che ha subito. Quindi dal punto di vista strutturale, ma anche funzionale, sono delle situazioni completamente diverse (Di Majo, La tutela civile dei diritti, 2003). Tant'e' che la Corte di cassazione, nella recentissima sentenza n. 28949/2017, ha statuito che non e' ravvisabile alcun abuso di diritto nel fatto che gli acquirenti abbiano agito nei confronti del venditore per ripetere l'eccedenza di prezzo e separatamente pagato il corrispettivo per rimuovere il vincolo del prezzo massimo e rivendere l'immobile a prezzo di mercato in quanto «tale condotta ha perseguito un risultato lecito attraverso mezzi legittimi, e non ha causato nessuna sproporzione o ingiustificato sacrificio alla controparte contrattuale». Inoltre, la Cassazione, nella nota sentenza. n. 4323 de1 2017 ha statuito che l'art. 2033 codice di procedura civile, prevede che «... chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere cio' che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda». Infine, la Corte costituzionale, con la sentenza del 24 maggio 1996, n. 166, ha evidenziato che «l'art. 2033 codice di procedura civile per se' stesso non e' censurabile in riferimento ad akun parametro costituzionale, essendo improntato al principio di giustizia che vieta l'arricchimento senza causa a detrimento altrui». In conclusione, la disciplina normativa in esame, impedendo agli acquirenti di alloggi di edilizia economica e popolare (solvens), di poter ripetere le somme indebitamente pagate ai venditori (accipiens), in violazione del vincolo convenzionale del prezzo massimo di cessione, relativizza e pone arbitrariamente nel nulla, solo per i primi, un principio che ci proviene addirittura dal diritto romano, posizionando, irragionevolmente, su un superiore piano di legittimita' l'interesse (privato) dei venditori di alloggi edificati sui piani di zona a trattenere delle somme illecitamente percepite da tale vendita, rispetto al diritto dei loro acquirenti a poter agire, ai sensi dell'art. 2033 codice di procedura penale, per la ripetizione dell'indebito, cosi' apparendo evidente la disparita' di trattamento davanti alla legge, che non e' consentita dall'art. 3 della Costituzione Italiana, tra questi ultimi rispetto a tutti gli altri creditori che, in tutti gli altri casi, sono invece legittimati ad agire per la ripetizione dell'indebito. 4. - Sotto altro profilo, sembra palesarsi, poi, l'illegittimita' costituzionale della norma in parola, per irragionevolezza, nonche' per la violazione del legittimo affidamento e del principio di stabilita' e coerenza nella disciplina generale del contratto. La novella legislativa, infatti, altera i rapporti tra i contraenti, in alcuni casi' gia' accertati con provvedimento del giudice ormai consolidato dall'intervenuto passaggio in giudicato, favorendo la posizione sostanziale e processuale di uno dei contendenti a detrimento delle concorrenti aspettative dell'altro. Si rileva infatti che, a seguito delle citate modifiche normative, il potere di rimuovere i vincoli contenuti nelle convenzioni di cui all'art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni, che prima era riconosciuto ai singoli proprietari degli alloggi, costruiti in regime di edilizia convenzionata, ora viene esteso «alle persone fisiche che vi abbiano interesse, anche se non piu' titolari di diritti reali sul bene immobile». Inoltre, come visto, con il comma 49-quater, aggiunto dopo il comma 49-ter, e' stato introdotto il principio secondo cui in pendenza della rimozione dei vincoli, il contratto di trasferimento dell'immobile non produce effetto limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato e che l'eventuale pretesa di rimborso della differenza si estingue con la rimozione dei vincoli. Infine, la novella normativa qui scrutinata di legittimita' costituzionale, prevede che il diritto alla rimozione dei vincoli si applica anche agli immobili oggetto dei contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della stessa quindi, senza limiti temporali e con applicazione retroattiva. In sintesi, con l'applicazione della novella normativa in parola, verrebbe estesa la possibilita' di operare, unilateralmente, una modifica del regime giuridico di un bene immobile, anche a chi non ha piu' alcun diritto reale sullo stesso e questo appare in patente violazione dei principi costituzionali di' intangibilita' della sfera giuridica altrui e del diritto di proprieta'. La disciplina censurata, infatti, consente a «chiunque vi abbia interesse», anche se non piu' titolare di diritti reali sul bene immobile, in relazione a negozi giuridici perfezionati prima dell'entrata in vigore della novella, di ottenere la modificazione rectius, risoluzione parziale, ndr.) della convenzione urbanistica di riferimento, ai fine della rimozione dei vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unita' abitative e loro pertinenze, contenuti nelle convenzioni di cui all'art. 35 della legge 22 ottobre 1971. n. 865, e successive modificazioni. Viene cosi' normativamente concesso, nel nostro caso, al venditore che ha percepito somme indebite, di poterle trattenere, prima paralizzando l'azione di indebito dell'acquirente e poi modificando, di propria iniziativa ed unilateralmente il contenuto della convenzione urbanistica relativa all'alloggio di edilizia economica e popolare in questione, risolvendola parzialmente e cosi rimuovendo i vincoli gravanti sull'immobile ceduto prima dell'entrata in vigore della legge. 5. - Ed ancora, come confermato dalla piu' volte richiamata sentenza della Cassazione a SS.UU. n. 18135/2015, il vincolo del prezzo massimo di cessione di che trattasi, consiste in un «onere reale» gravante sull'alloggio in parola, che deriva da un vincolo di natura contrattuale, contenuto nell'art. 14 della convenzione urbanistica, avente peraltro valore di legge, in virtu' della delega governativa di cui all'art. 35 della legge 865/1971. Tale vincolo contrattuale, a parere dell'arbitro, non puo' essere modificato, tanto meno unilateralmente, da un soggetto terzo rispetto al rapporto giuridico in essere tra il comune di Roma Capitale e gli odierni appellanti, attuali concessionari del diritto di superficie ex plurimis, Consiglio di giustizia amministrativa, sentenza 1° febbraio 2001, n. 20), pena l'evidente violazione, tra gli altri degli articoli 42 e 47 della Costituzione e dell'invocato art. 1 del protocollo n. 1 - protezione della proprieta' (art. 1, comma 1 del protocollo n. 1 - rispetto dei beni), sempre della CEDU. 6. - Violazione degli articoli 3 e 47 della Costituzione nella parte in cui il cornma 49-bis dell'art. 31 della legge 448/1998 cosi' come modificato non consente a tutti i cittadini aventi diritto (in regola con i requisiti soggettivi) di accedere alla proprieta' della propria abitazione alle condizioni agevolate previste nelle convenzioni ex art. 35 della legge 865/1971. L'edilizia residenziale pubblica mira a canalizzare l'intervento pubblico - diretto o indiretto (ossia realizzato attraverso agevolazioni economiche) - per il soddisfacimento della richiesta abitativa delle categorie sociali meno abbienti ed esposte al rischio di carenza abitativa. Vengono cosi realizzate prestazioni che possono asciiversi alla categoria concettuale del servizio pubblico, data la loro destinazione alla soddisfazione di un bisogno collettivo o generale della comunita'. Molti Stati membri delle Nazioni unite hanno affermato che l'abitazione e' una componente essenziale dei diritti fondamentali riconosciuti ad ogni individuo per partecipare pienamente alla societa'. Senza di esso gli individui non sarebbero in grado di godere di molti dei diritti umani riconosciuti dalla comunita' internazionale. A ben riflettere, infatti, il diritto alla privacy, il diritto ad essere liberi dalla discriminazione, diritto allo sviluppo, il diritto all'igiene ambientale ed il diritto a conseguire il piu' alto livello possibile di salute mentale e fisica, tra gli altri, dipendono dalla disponibilita' di un alloggio adeguato. In altri termini, il diritto all'abitazione e' una pre-condizione per la fruizione di molti altri diritti fondamentali dell'individuo, al pari della liberta' di espressione del pensiero o del diritto alla salute. L'art. 47 della Costituzione italiana recita: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito. Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprieta' dell'abitazione, alla proprieta' diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese». Pertanto, se la proprieta' dell'abitazione serve a soddisfare un bisogno essenziale dell'uomo, il titolare del diritto non potra' trarne un profitto speculativo, a maggior ragione se trattasi di «edilizia agevolata» ovvero fruente, all'origine, di un finanziamento pubblico ed hanno realizzato su suoli espropriati, come nel caso di specie. Per lo stesso ordine di motivi, il favor costituzionale viene meno nel momento stesso in cui la sua pretesa ecceda la necessita' abitativa, mirando non tanto a soddisfare un bisogno essenziale della persona, ma un interesse diverso ed ulteriore del venditore, come parrebbe nel caso di specie. In questa prospettiva, come e' stato attentamente rilevato, l'art. 47 della Costituzione disegna un «tipo» di proprieta' che, da un punto di vista giuridico, puo' essere distinta e separata dalla proprieta' di cui all'art. 832 del codice di procedura civile. Ribaltando la prospettiva e utilizzando una sorta di argomentazione negativa, puo' osservarsi come la mancanza di uno spazio abitativo, vitale per il pieno sviluppo dell'individuo e della famiglia, costituisca una pericolosa limitazione al principio di uguaglianza formale e sostanziale sancito dalla nostra Carta costituzionale. E' infatti evidente che la mancanza o la perdita dell'abitazione rende impossibile l'uguaglianza e la pari dignita' sociale dei cittadini di fronte alla legge, garantita dalla nostra Costituzione a prescindere dalle condizioni personali e sociali (art. 3, comma 1); allo stesso tempo, la mancanza di un tetto rappresenta uno degli «ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese» e che e' dovere della Repubblica rimuovere (art. 3, comma 2). In linea con quanto avviene nella generalita' degli ordinamenti contemporanei, anche l'ordinamento italiano mostra un vivo interessamento per la soddisfazione del bisogno dell'alloggio tra le fasce di cittadini meno provviste di mezzi. Tale interessamento si manifesta concretamente nella previsione di una serie di attivita' volte a soddisfare il bisogno abitativo, nonche' attraverso la creazione di soggetti istituzionali aventi compiti di stimolo, direzione e vigilanza di queste attivita'. in particolare, l'estrinsecazione piu' evidente e concreta del diritto all'abitazione e' rappresentata dagli interventi di edilizia residenziale pubblica. In questo contesto, la funzione sociale di un alloggio costruito su aree espropriate per pubblica utilita' non dovrebbe esaurirsi al momento della prima assegnazione (ex multis Cassazione civile SS.UU. n. 506/2011 e 18135/2015). Altrimenti verrebbe violato anche il disposto art. 42 della Costituzione Italiana. In altre parole, concedere una sorta di patente speculativa in capo al primo assegnatario di un alloggio di edilizia residenziale pubblica, costruito su aree espropriate, non puo' essere considerato un interesse pubblico e potrebbe, peraltro, anche esporre la pubblica amministrazione ad un pericoloso contenzioso con i proprietari espropriati, in base al disposto dell'art. 834 codice di procedura civile. E' il caso della modalita' di acquisizione dei suoli prevista dalla legge 865/1971 per consentire l'edificazione di alloggi di edilizia economica e popolare (PEEP). L'espropriazione e' dunque il piu' forte limite alla proprieta', dato che il diritto del proprietario viene sacrificato a vantaggio dell'interesse collettivo. Nel contrasto tra interesse privato ed interesse pubblico e', dunque quest'ultimo che deve prevalere. E' in questo contesto normativo che si inseriscono le limitazioni e regolamentazioni del prezzo d'acquisto degli alloggi in convenzione. A cui si aggiungono numerosi altri benefit pubblici (riduzione degli oneri di urbanizzazione, esenzione dal pagamento del contributo del costo di costruzione, come previsti dall'art. 17 del decreto del Presidente della Repubblica 380/2001, finanziamenti pubblici in conto capitale e/o interessi agevolati) ed e' per questi motivi che i vincoli imposti dalle convenzioni di cui all'art. 35 della legge 865/1971, come piu' volte chiarito dalla sezione civile di Cassazione, perdurano per l'intera durata della convenzione e si trasmettono insieme al trasferimento del diritto di superficie. Se cio' non fosse, data la funzione sociale attribuita all'edilizia residenziale pubblica, verrebbe violato anche l'art. 3 della Costituzione Italiana, in quanto si creerebbe una irragionevole disparita' di trattamento per l'accesso della totalita' dei cittadini a quel determinato servizio pubblico. E' pacifico, infatti, il diritto riconosciuto in capo al primo assegnatario di ottenere l'alloggio al prezzo di convenzione. Addirittura, in base a quanto stabilito nella sentenza n. 15690 del 25 marzo - 14 aprile 2009 della suprema Corte di cassazione, VI sezione penale, quando questo principio viene violato si puo' incorrere nel reato di concussione. Cio' posto, sarebbe ravvisabile una «ingiustizia» laddove «fosse consentito, a chi ha beneficiato del vantaggio dell'acquisizione dell'immobile per un corrispettivo agevolato, di rivendere il bene al prezzo di mercato, speculare sulla differenza.» ex multis, Cassazione civile SS.UU. n. 18135/2015 e 506/2011) e questa ingiustizia e' viepiu' grave, laddove si consideri che, come visto, la novella normativa in contestazione impedisce alle vittime di quella speculazione, di poter ottenere la ripetizione delle somme indebitamente pagate. Diversamente argomentando, si cadrebbe in contraddizione anche con la normativa comunitaria relativa al divieto di «aiuti di Stato» ed in particolare della materia relativa ai Servizi di interesse economico generale (SIEG). Significativamente, il decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti del 22 aprile 2008 si intitola: «Definizione di alloggio sociale ai fini dell'esenzione dall'obbligo di notifica degli aiuti di Stato, ai sensi degli articoli 87 e 88 del Trattato esecutivo della Comunita' europea» (oggi art. 106, per. 2 del Trattato di funzionamento U.E.) e della correlata decisione 2012/21/UE della Commissione europea in materia di «aiuti di Stato». In conclusione, l'art. 31, comma 49-bis della legge 448/1998, permettendo la soppressione, ad opera del primo acquirente (ed unico beneficiario dei finanziamenti pubblici, ndr.) del vincolo del prezzo massimo di cessione e di locazione, dopo soli cinque anni dalla data di prima assegnazione, senza prevedere neppure nessun rimborso allo Stato, per le agevolazioni erogate relativamente agli alloggi in parola ed ai proprietari dei suoli espropriati, concede una patente speculativa ai primi assegnatari di tale tipologia di alloggi e viola, oltre che le sopra richiamate norme costituzionali, anche le norme comunitarie circa i divieti di aiuti di Stato. Il tutto, lo si ribadisce, a totale svantaggio, da ultimo, degli acquirenti di alloggi di edilizia economica e popolare, che abbiano acquistato, a prezzo di mercato, un alloggio ancora sottoposto ai vincoli delle convenzioni ex art. 35 della legge 865/1971 (solvens), i quali, a seguito della semplice presentazione, da parte dei venditori (accipiens) o di «chiunque vi abbia interesse», al comune di riferimento, della domanda di rimozione del vincolo convenzionale del prezzo massimo di cessione, si vedranno «paralizzare» la loro domanda di ripetizione delle somme indebitamente pagate e dovranno anche subire l'eventuale, futura rivalsa degli enti erogatori dei finanziamenti e delle agevolazioni pubbliche in generale, concesse per edificare gli alloggi in questione, cosi impedendo a questi ultimi acquirenti ed a tutti gli altri cittadini che, pur possedendo i requisiti soggettivi per accedere a tale tipologia di alloggi, non potranno mai godere dei medesimi benefici concessi ai suddetti primi assegnatari. Sarebbero, inoltre, gravemente penalizzati anche i soggetti che sono stati espropriati dei loro suoli dallo Stato, per consentire la realizzazione, nei piani di zona ex lege 167/1962, a prezzi «calmierati», degli alloggi come quello per cui e' causa.